Dopo i nostri precedenti articoli sull'irezumi (il tatuaggio punitivo giapponese) e sull'irebokuro (il tatuaggio d'amore), scopriamo finalmente come il tatuaggio è diventato ciò che conosciamo adesso, ovvero horimono, decorazione volontaria e decorativa, con protagonisti soggetti "nobili" derivanti da arte, leggende, religione e letteratura.
In alcune città del Giappone, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la popolazione diventa più istruita e acculturata e non manca di voler dimostrare la propria forza... e quale miglior prova se non quella di sottoporre la propria pelle a una pratica tanto dolorosa quanto emblema di virilità?
Oltre al voler aumentare il proprio prestigio sociale, vi era anche il narcisismo: il voler apparire belli e desiderabili, il poter esporre qualcosa di "prezioso" anche quando gli abiti erano di povera manifattura, o mentre si era impegnati in attività lavorative. Era frequente vedere persone che facevano lavori pesanti (come carpentieri, costruttori e manovali) lavorare seminudi, mostrando con fierezza i loro tatuaggi.
In alcune città del Giappone, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la popolazione diventa più istruita e acculturata e non manca di voler dimostrare la propria forza... e quale miglior prova se non quella di sottoporre la propria pelle a una pratica tanto dolorosa quanto emblema di virilità?
Oltre al voler aumentare il proprio prestigio sociale, vi era anche il narcisismo: il voler apparire belli e desiderabili, il poter esporre qualcosa di "prezioso" anche quando gli abiti erano di povera manifattura, o mentre si era impegnati in attività lavorative. Era frequente vedere persone che facevano lavori pesanti (come carpentieri, costruttori e manovali) lavorare seminudi, mostrando con fierezza i loro tatuaggi.
Ma non solo: il tatuaggio poteva rappresentare una sorta di "rito di iniziazione" per appartenere ad un gruppo ed avere un segno distintivo ab aeterno. Si vedano ad esempio i pompieri, che mettendo a repentaglio la loro vita ogni giorno, trasmettevano al tatuaggio spirito di solidarietà nei confronti dei compagni, oltre ad attribuirvi significati quali forza e mascolinità.
Poteva anche essere uno strumento protettivo, "esorcizzando" alcuni aspetti della vita, professionale e non, che mettevano timore. Per esempio, i portantini che si spostavano spesso tra le varie città, erano soliti tatuarsi per spaventare gli eventuali banditi che avrebbero potuto trovare lungo la strada, oppure i pompieri si tatuavano soggetti d'acqua come "antitesi" alla loro pericolosa attività.
Infine, non era inusuale che rappresentasse una "promessa" fatta a se stessi: per esempio, ci si faceva tatuare una tazza di sakè per imporsi di smettere di berlo, oppure le carte da gioco per chi era troppo dedito al gioco d'azzardo.
Poteva anche essere uno strumento protettivo, "esorcizzando" alcuni aspetti della vita, professionale e non, che mettevano timore. Per esempio, i portantini che si spostavano spesso tra le varie città, erano soliti tatuarsi per spaventare gli eventuali banditi che avrebbero potuto trovare lungo la strada, oppure i pompieri si tatuavano soggetti d'acqua come "antitesi" alla loro pericolosa attività.
Infine, non era inusuale che rappresentasse una "promessa" fatta a se stessi: per esempio, ci si faceva tatuare una tazza di sakè per imporsi di smettere di berlo, oppure le carte da gioco per chi era troppo dedito al gioco d'azzardo.
Nonostante i motivi appena descritti, la storia dell'horimono fu tormentata a causa di editti che lo proibivano, considerandolo scandaloso e deprorevole; inoltre, veniva e viene tutt'ora associato alla criminalità organizzata (Yakuza, nome generico utilizzato per descriverla), visto che i membri delle gang criminali erano - e sono anche oggi - soliti tatuarsi a scopo intimidatorio e come forma di appartenza al gruppo, ma anche per dimostrare la loro forza nella sopportazione del dolore. Non solo: se durante gli editti qualche giapponese tatuato (anche non facente parte del mondo criminale) veniva trovato dalla polizia, era costretto a "consegnare" il nome del tatuatore, a cui veniva confiscato tutto il materiale e talvolta veniva arrestato. Insomma, i tatuatori erano costretti a nascondersi e spostarsi costantemente, diventando così degli "artisti criminali".
Solo nel 1948 il tatuaggio è tornato ad essere formalmente legale e tollerato come pratica, benchè molti giapponesi non lo vedano di buon occhio e alcuni addirittura ne abbiano paura, soffrendo del legame con la criminalità organizzata. Nonostante sia cresciuto di popolarità e negli ultimi anni molti giovani giapponesi abbiano iniziato a tatuarsi, anche seguendo la scia della moda occidentale, alcuni bagni pubblici, piscine e spiagge sono tutt'ora vietate ai tatuati, anche se stranieri.
In conclusione, per l'horimono la strada verso la completa accettazione è ancora lunga, e non si può che sperare in una graduale apertura verso questa pratica tanto antica quanto nobile e carica di significati.
"Non sto cercando la bellezza che duri per sempre, amo il tatuaggio perchè è fragile come lo è la vita umana, un'opera d'arte che nessuno può riprodurre. La bellezza di un tatuaggio non può esistere senza la vita umana".
(dal film Sekka Tomurai Zashi, 1981)
Se vuoi approfondire l'argomento ti consigliamo la lettura de "Il fiore nell'ombra. Percorsi attraverso il tatuaggio tradizionale giapponese" di Costanza Brogi.
"Non sto cercando la bellezza che duri per sempre, amo il tatuaggio perchè è fragile come lo è la vita umana, un'opera d'arte che nessuno può riprodurre. La bellezza di un tatuaggio non può esistere senza la vita umana".
(dal film Sekka Tomurai Zashi, 1981)
Se vuoi approfondire l'argomento ti consigliamo la lettura de "Il fiore nell'ombra. Percorsi attraverso il tatuaggio tradizionale giapponese" di Costanza Brogi.