“Nell’uomo la cosa più intima è la pelle”, diceva Paul Valery, ed effettivamente è vero: l’offrirci agli altri non solo nei sentimenti ma fisicamente, partendo dalla nostra pelle.
Quando ci si affida ad un tatuatore gli si dà “in gestione” una parte intima di noi, per farla evolvere in qualcos’altro; e quel qualcosa di nuovo che nasce dall’incontro di inchiostro e pelle diventa indelebile, seppur soggetto anch’esso ai cedimenti e alle rughe che inevitabilmente accompagneranno il corpo durante la vita.
Il tatuaggio polinesiano è questo e molto altro. Non è solo estetica, significato e intimità, ma un vero e proprio “abbigliamento” che ricopre un corpo (secondo le consuetudini locali) poco vestito. È lì per essere visto, deve essere visto; è un linguaggio che esprime l’essenza della persona secondo tradizioni antiche e primordiali, dove la “scrittura magica” fa da padrona.
Quando ci si affida ad un tatuatore gli si dà “in gestione” una parte intima di noi, per farla evolvere in qualcos’altro; e quel qualcosa di nuovo che nasce dall’incontro di inchiostro e pelle diventa indelebile, seppur soggetto anch’esso ai cedimenti e alle rughe che inevitabilmente accompagneranno il corpo durante la vita.
Il tatuaggio polinesiano è questo e molto altro. Non è solo estetica, significato e intimità, ma un vero e proprio “abbigliamento” che ricopre un corpo (secondo le consuetudini locali) poco vestito. È lì per essere visto, deve essere visto; è un linguaggio che esprime l’essenza della persona secondo tradizioni antiche e primordiali, dove la “scrittura magica” fa da padrona.
A Tahiti, secondo una tradizione locale, la pratica del tatuaggio avrebbe origine divina: creata da due figli del dio Ta’aroa con lo scopo di sedurre una loro sorella, che era custodita in un luogo segreto dalla madre per preservarne la verginità; la sorella, per il desiderio di farsi tatuare, si sottrasse alla sorveglianza della madre e realizzò il suo scopo. I due fratelli insegnarono poi questa pratica agli uomini, che trovandola decorativa ne fecero largo uso, sancendosi così come gli “dei del tatuaggio”.
Nella tradizione, invocazioni e immagini erano dedicate ai due dei, affinché l’operazione risultasse perfetta e le ferite si rimarginassero velocemente. Essa era finalizzata all’attrazione sessuale, all’esaltazione della vita, all’aspirazione a diventare dei, ma anche per segnalare la differenziazione sociale attraverso segni corrispondenti a ciascun “grado”. Ma più di ogni altra cosa il tatuaggio era spesso un segno distintivo, come la traccia di una grande impresa di guerra o di un avvenimento importante, e l’affermazione di una radicata e potente identità culturale.
Nella tradizione, invocazioni e immagini erano dedicate ai due dei, affinché l’operazione risultasse perfetta e le ferite si rimarginassero velocemente. Essa era finalizzata all’attrazione sessuale, all’esaltazione della vita, all’aspirazione a diventare dei, ma anche per segnalare la differenziazione sociale attraverso segni corrispondenti a ciascun “grado”. Ma più di ogni altra cosa il tatuaggio era spesso un segno distintivo, come la traccia di una grande impresa di guerra o di un avvenimento importante, e l’affermazione di una radicata e potente identità culturale.
Le donne erano meno tatuate rispetto agli uomini, con disegni più eleganti perché considerati un ornamento; gli uomini, invece, avevano spesso tutto il corpo coperto di tatuaggi, a parte il viso che rimaneva intonso (eccezion fatta per guerrieri e sacerdoti che potevano avere qualche emblema particolare).
L’operazione era un vero e proprio rito cerimoniale con musica di accompagnamento (un mix di flauti, tamburi e conchiglie), e veniva praticata già a partire dalla tenera età: per le bambine dagli 8 ai 10 anni, per i bambini tra gli 11 e i 12.
L’operazione era un vero e proprio rito cerimoniale con musica di accompagnamento (un mix di flauti, tamburi e conchiglie), e veniva praticata già a partire dalla tenera età: per le bambine dagli 8 ai 10 anni, per i bambini tra gli 11 e i 12.
Tatatau è il termine che esprime l’azione del tatuare. Veniva eseguita da un sacerdote tatuatore, che godeva di una particolare considerazione (anche economica), attraverso due strumenti che sono utilizzati ancora oggi: un punzone e un bastoncino. Il punzone consisteva in un manico di legno sul quale era fissato un osso di uccello, della madreperla o denti (di animali ma anche umani, accuratamente affilati); il bastoncino era invece una sorta di piccolo martello con il quale veniva battuto il punzone.
La tintura si otteneva grazie a delle particolari noci bruciate e polverizzate, mescolate con acqua e olio di Monoi. Inizialmente di un nero molto intenso, una volta iniettata sotto la pelle assumeva una sfumatura bluastra assolutamente indelebile.
Come si può immaginare, il tatatau era un’operazione dolorosa che raramente terminava in una sola seduta. Ma proprio in virtù di tutte le caratteristiche appena descritte, la si praticava con forza e spiritualità: il corpo non era più solo carne, ma si faceva “gioiello”, segno”, “poema” di vita e linguaggio; una tradizione che vive ancora oggi e permette di esprimere la propria identità e personalità attraverso disegni carichi di significati.
Se vuoi approfondire l’argomento ti consigliamo la lettura de “Tahiti Tattoos” di Gian Paolo Barbieri.
La tintura si otteneva grazie a delle particolari noci bruciate e polverizzate, mescolate con acqua e olio di Monoi. Inizialmente di un nero molto intenso, una volta iniettata sotto la pelle assumeva una sfumatura bluastra assolutamente indelebile.
Come si può immaginare, il tatatau era un’operazione dolorosa che raramente terminava in una sola seduta. Ma proprio in virtù di tutte le caratteristiche appena descritte, la si praticava con forza e spiritualità: il corpo non era più solo carne, ma si faceva “gioiello”, segno”, “poema” di vita e linguaggio; una tradizione che vive ancora oggi e permette di esprimere la propria identità e personalità attraverso disegni carichi di significati.
Se vuoi approfondire l’argomento ti consigliamo la lettura de “Tahiti Tattoos” di Gian Paolo Barbieri.